La scomparsa di Pickles McCarty

Ernest Hemingway, autore de La scomparsa di Pickles McCarty

Ernest Hemingway
La scomparsa di Pickles McCarty

Questa storia di «Pickles», un pugile italo-americano che rientra clandestinamente in patria per arruolarsi tra gli Arditi, è stata scritta da Hemingway durante le sue vacanze estive in Michigan nel 1919. Ernest aveva cercato di vendere il racconto con l’aiuto di Edwin Balmer, un giornalista del «Chicago Tribune» ch’egli aveva incontrato a una conferenza. Balmer gli diede la lista di alcuni editori che potevano essere interessati: George Horace Lorimer del «Saturday Evening Post», Virginia Roderick di «Everybody’s», Charks Agnew MacLean del «Popular Magazine», Karl Harriman di «Red Book and Blue Book», ma la cosa non approdò a nulla. Una copia del racconto finì anche a un suo amico, Waring Jones, che nel 1966 ne fece dono al prof. Carlos Baker di Princeton N.J.. Un’altra copia è stata ritrovata nel 1977 da C.E. Clark jr., un bibliofilo dei dintorni di Detroit, il quale non ha spiegato com’egli sia venuto in possesso di quel manoscritto di 4.000 parole. Da una terza copia dattiloscritta, ora alla Kennedy Library di Boston, appare che Hemingway (verso il 1921) intendesse usare questo stesso racconto come parte di un progettato romanzo su Gabriele D’Annunzio e l’impresa di Fiume. Stranamente, questa storia di «Pickles» è rimasta sconosciuta al pubblico fino al gennaio 1976, quando una traduzione italiana è apparsa ne «Il Racconto», diretto da Giovanni Arpino.
Sebbene strettamente «letterario», cioè inventato, «Pickles» si è rivelato così pieno d’informazioni da dar origine a un intero libro (Con Hemingway e Dos Passos sui campi di battaglia italiani della Grande Guerra, 1980). Tra i fatti storici in esso riconoscibili: la conquista di Monte Comodi Vallarsa (13 maggio 1918), un contrattacco di Arditi a Fossalta di Piave (tardo pomeriggio del 17 giugno 1918), un bombardamento austriaco a Col Campeggia e lo sfondamento degli austriaci sulla Strada Cadorna a Ponte San Lorenzo e all’Osteria alla Cibara (mattino del 15 giugno 1918), un combattimento a Col Spiazzoli a nord-est di Ponte San Lorenzo (primo pomeriggio del 15 giugno), l’epico scontro degli Arditi quando sfondarono sull’Asolone e con una puntata fulminea si spinsero sino a Col della Berretta e a Col Bonato (mattino del 25 ottobre), ecc. Alcuni degli episodi sono riferiti anche nel Report di W. Houston Kenyon. «Io, a Hemingway, non ho detto nulla», ha precisato Kenyon. C’è il fatto che Hemingway può aver letto il suo articolo nel numero di marzo 1919 dell’«Harvard Graduates Magazine»; oppure sia venuto a conoscenza degli avvenimenti da altri autisti della Sezione Uno ARC di Bassano, suoi compagni all’ospedale milanese. Ma è più probabile che Ernest sia stato messo al corrente di quei combattimenti dagli stessi protagonisti, dato che tra il 20-27 ottobre fu anche lui a Bassano (e a Pove e a Cittadella) e si mescolò con gli Arditi del IX Reparto d’Assalto del magg. Giovanni Messe (nel 1941 comanderà il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, e nel 1943, l’Armata che si arrese agli alleati in Tunisia): un’unità combattente e uomini sicuramente riconoscibili nel racconto.
«La scomparsa di Pickles McCarty» ha un sottotitolo: «The Woppian Way»; un gioco di parole che si può tradurre: «All’italiana» (da wop, ironico, scherzoso per «italiano») e «La via Appia» (con riferimento alla nota strada romana, ma anche ai miracoli d’ingegneria militare che era la Strada Cadorna, lungo il cui percorso avvengono i principali fatti del racconto).

 

Ai tempi in cui mangiavamo il frutto dell’albero dell’attesa guardinga, quando ancora la gente si preoccupava del come finivano i «Giants», prima ancora che la ventata della coscrizione si formasse nella caverna di Eolo, oh, ai bei tempi quando George Creel pensava solo a sfamarsi e a non contar frottole, c’era un pugile di nome Pickles McCarty.

E al nome di Pickles bisogna aggiungere qualcosa. Pickles era uno dai pasti ridotti a uova e prosciutto, a spezzatino di maiale e fagioli, era un pugile di rincalzo e in prova; per dirla in breve, uno di quei miserabili lottatori che si guadagnavano da vivere come comparse. Egli era uno di quei giovani, pieni di buona volontà, che puoi vedere se vai a una serata di pugilato troppo presto per l’incontro di prestigio, e che con copioso sangue e rotear di braccia si ammazzano di botte rincorrendosi sul quadrato, per un ridicolo minimo garantito.

Pickles, come lottatore (quasi stavo per scrivere pugile), ci aveva rimediato un naso un po’ appiattito un risentimento contro gli omaccioni rubizzi in abito da sera che strepitavano per vedere sangue, e il nome di McCarty. Poiché un cantante d’opera deve essere un europeo continentale, una società per azioni un corpo senza anima, e per forza un menapugni è un irlandese. Quando Pickles protestò con O’Leary, che doveva guidare i suoi destini pugilistici, che il nome di Neroni gli era stato a pennello per venti anni, lo Snake (serpente) gli rispose: «Senti, italianaccio! Pensi tu che il pubblico voglia vedere un tizio con quel nome di terrone a fare a pezzi Murphy, un bravo ragazzo irlandese, che magari prima si chiamava Goldstein? Non lo vuole. Ciò che vogliono sono due ragazzi irlandesi che si sfidano, e allora si che è un combattimento leale. E con l’aiuto della stampa e del Padreterno ne potremmo fare uno scontro memorabile. I tifosi si divertono a vedere sangue e smorfie e, come nei film, sono sempre dalla parte di Nick. Capita come con quegli zotici del Maine e dell’Illinois, che si scatenano tutti non appena sentono suonare Dixie (notissima canzone americana di Daniel D. Emmet, 1859, ndr.). Piccolo Neroni, ora hai un altro nome. Sei Pickles McCarty. E ti auguro di avere miglior fortuna del povero Luther».

E così fu battezzato Pickles, e spuntò sulla Costa californiana come McCarty, e cominciò gradualmente a brillare. Nell’incontro di semifinale con Young Sullivan gli fu facile superarlo e divampò di luce propria, giungendo al centro incandescente della pubblicità nazionale… e poi disparve. E possa la sparizione e apparizione di Pickles McCarty togliere un po’ di macchia che c’è ancora sul ring per il modo con cui la Montagna del Kansas e l’Ebreo di Gotham e altri loro compari hanno cullato i pacifisti in questi ultimi tre anni…

Sulla Costa la carriera di Pickles fu folgorante. Non era all’inizio che un ragazzotto aspirante pugile, le cui sole risorse risiedevano in un corpo vellutato e forte come l’acciaio e in un cuore combattivo; era un vero genio nell’incassare, e nel ring incassare significa un’abilità sillabata di parolacce, di continuare a batterti anche quando uno più forte di te ti rompe il naso, ti chiude gli occhi, t’inchioda la bocca e te la demolisce, ti maciulla i connotati, e nel frattempo continua a martellarti allo stomaco e alle reni. Ma sotto la guida di Snake egli era diventato il secondo campione dei mediomassimi del mondo.

Snake era stato l’allenatore di Ruby Robert, ai tempi della grande carriera de Lo Screziato. Egli insegnò a Pickles come far scrivolare via, con uno scatto della testa, i colpi che prima incassava. Trasformò il sinistro di Pickles, da un lento stantuffo aggirante, in una stoccata che saettava nella faccia dell’avversario con il guizzo di una mitraglia. E mentre il sinistro pugnalava e faceva l’uomo a pezzi, il destro, quel destro che Snake sognava («…dieci centimetri dalla mascella, e potrebbe benissimo essere una bomba di profondità»), stava sempre lì come un cannoncino camuffato. Era un pugno mai più visto dai tempi del Campione della Cornovaglia.

Metti quelle due mani su una struttura a forma di squadra a T, mettici un 72 chili di concentrato di colpi di prima qualità, sormontato da una faccia sorridente d’italiano sotto un ciuffo di capelli neri, e in più lo scatto di un Corbett1 e il cuore di un Diavolo della Tasmania e avrai Pickles McCarty, nato Neroni, nell’anno di grazia della nostra Neutralità 1915.

Sorridendo come se niente fosse, egli, con quel suo poderoso pistone sinistro, aveva ridimensionato mediomassimi, pure sorridendo li aveva mandati al tappeto a un cenno di Snake dall’angolo. Ora c’era solo il Campione del mondo da battere… Il Campione, un po’ appesantito, e lui solo sapeva quanto fuori forma, come tutti i campioni fece sapere a Pickles di darsi ancora da fare, per farsi un nome. Pickles, che il nome se l’era fatto più del Campione, gli fece sapere, attraverso Snake e la stampa; che se non accettava la sfida egli avrebbe reclamato il titolo. Le pagine sportive dei giornali ne furono piene. I press agents servono apposta per questo. E sul più bello Pickles sparì.

Navigati commentatori sportivi considerarono dapprima con sospetto quella sparizione. Ma Snake li convinse. Snake era disperato.

«Non è una balla giornalistica. la cruda realtà. Ma che stupido! Maledetto italiano stupido! Il mio avvenire economico. L’unico vero lottatore che ti trovo, e ora mi molla. Un altro piccolo sforzo da niente e avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi, e lui invece molla tutto. Certo che so dov’è. Non ne sono proprio sicuro, non ci credereste. La direste una balla giornalistica. Basta, non parliamone più. Quel vile d’un lavativo».

Così, per alcuni giorni, il pubblico sportivo rimase con il fiato sospeso a chiedersi cos’era successo a Pickles McCarty, poi si adagiò a contemplare un sindacato che cercava di combinare un incontro tra la Montagna del Kansas e un altro sfidante, meticolosamente scelto e pompato dalla stampa.

        A Bassano noi eravamo acquartierati in una vecchia villa sul Brenta, sulla sponda orientale, un po’ più in su del ponte coperto. Era grande e tutta di marmo con cipressi lungo il viale e statue ai lati, e le solite altre cose. Noi eravamo il solito gruppo di avventurieri, dai piedi piatti e con gli occhi strabici, che non potevamo arruolarci nell’esercito e avevamo ripiegato sul Servizio Ambulanze. Quando il Corpo di Spedizione Americano arrivò in Francia, fummo cacciati via di li. Alcuni della squadra erano finiti in Mesopotamia, gli altri si sparpagliarono per i Posti o Sezioni lungo il fronte italiano. Certo, avrei potuto tornarmene a Washington, con Spurs, addetto alla propaganda. Ma hai tu mai visto il sole sorgere, almeno una volta, dal Monte Grappa, o sentito nel sangue dentro di te il crepuscolo di giugno sulle Dolomiti? (le Piccole Dolomiti, vicino al Pian delle Fugazze, sopra Schio, ndr.). 0 gustato il liquore Strega a Cittadella? 0 camminato per le vie di Vicenza, di notte, mentre la luna ti bombardava? Sai, in guerra, oltre al combattere, ci sono mille altre cose. E ogni volta che al chiaro di luna scendevamo alla piccola trattoria e io respiravo il profumo di quei grandi fiori color porpora che coprivano i muri bianchi e inondavano la notte del loro olezzo, e ci sedevamo nel giardino con un autentico boccale di birra buona davanti, e le coppie di innamorati ci camminavano vicino nella penombra lunare, e magari su per la strada una chitarra si lamentava nostalgicamente suonando Torna a Surriento, Washington era terribilmente lontana e mi auguravo di non aver mai toccato una macchina da scrivere.

Bene, eravamo acquartierati in questa vecchia villa di Bassano. Era una notte calma. In città non succedeva niente e io dormivo. Improvvisamente mi svegliai di soprassalto. Dal cortile di sotto della finestra provenivano le più empie urla e strida e grida di dolore, accompagnate da colpi e da un sacco di parolacce in italiano. E non c’è nessuno al mondo che in fatto di impressionanti e pittoresche imprecazioni e parolacce superi gl’italiani. Misi fuori la testa dalla finestra e vidi un Ardito, di un battaglione attendato lì vicino, legato al muro per le mani, e un altro Ardito che gliele suonava. Gli Arditi erano volontari, provenienti in parte da criminali che dovevano scontare piccoli errori, come omicidi o stupro. Sono truppe d’assalto, hanno tasche piene di bombe, una pistola automatica appesa con una funicella al collo e un pugnale lungo 25 centimetri a lama larga di foggia romana tra i denti. Per la maggior parte balzano all’attacco a petto nudo. Dubito fortemente che in altri eserciti esistano migliori truppe d’urto.

Dimentico dell’italiano gridai in inglese: «Piantatela! Vogliamo dormire! Rimandate il macello a domani mattina!».

L’Ardito legato guardò verso di me al chiaro di luna, mi sorrise con una smorfia e con la testa piegata di lato, come uno spagnolo alla garrota. «Va bene, Scribe» (scribacchino), disse in perfetto inglese californiano. «Urlo solo perché questo sergente si sbrighi. Non ha neppure la forza di forare biglietti. Ma devo far finta che faccio penitenza. Ancora sette colpi e ho finito». Mi sorrise con un’altra smorfia, mi strizzò l’occhio e incominciò di nuovo a urlare. Era Pickles, non mi sbagliavo. Quella era la sua smorfia. Feci appena in tempo a vestirmi e scendere le scale che il sergente se ne era andato e Pickles era li che mi aspettava. Sputò un po’ di sangue per terra e mi strinse la mano.

«Vecchio Frog Eyes» (occhi di rana), mi sorrise. «Che ci sei venuto a fare tu in questa sporca guerra? Non è la tua, mi pare». «E da quando in qua è la tua?». «Oh, da molto. Che ne dici della divisa?», e si guardava la giubba grigia di Ardito con il colletto aperto, le due grandi fiamme nere pendenti ai lati del colletto, i pantaloni grigi a sporta e le fasce nere arrotolate alle gambe; indossava anche il fez nero, con il: Ciocco che finiva dietro la testa ricciuta.

«Posso salire in camera da te? Ti posso mollare un po’ di “roba”. Sai, mi sono fermato a sotto-soldato, nell’esercito è la carta che viene subito dopo il due».

«Dopo i tuoi tre anni?». Prima di incominciare a fare il pugile Pickles aveva fatto tre anni all’Università di Stanford.

«Non poteva andare diversamente», rispose Pickles salendo le scale. Ci sedemmo sulla mia brandina e mi accinsi a versare del cognac. Picks lo allontanò con la mano. «Acquetta! Sai cosa ci danno quando andiamo all’attacco? Rhum ed etere. Dopo quello ci vorrebbe solo l’oppio. E grappa! L’hai mai assaggiata? Ti colpisce come una mazzata. Un bicchierotto di quella e hai la forza di un plotone. Una sorsata e incominci a domandarti perché gli austriaci non abbiano una truppa d’assalto un po’ migliore con cui valga la pena battersi. Con la grappa potresti incitare a dovere anche un brocco». «Ma quella gentaglia, Picks», dissi. «Come fai a sopportarli?». «E’ la migliore banda del mondo. Tu credi che siano tutti criminali. Si pensava che lo fossero all’inizio. Ora ce ne sono delle migliori famiglie d’Italia. Sono volontari e se superano l’addestramento vengono arruolati. Ti faccio notare, Frog Eyes, è tutto una questione di addestramento. Sai di quelle bombe a mano che chiamiamo “signorine”? Esplodono quattro secondi dopo che hai strappato la sicura. Nell’addestramento strappi la sicura, le butti per terra davanti a te, le raccogli e le lanci via. Sì, Frog Eyes, è tutta questione di addestramento. E Snake, come va?».

«Benissimo. Aspetta che tu torni, Avresti potuto diventare il campione del mondo. Perché non gli hai detto dove andavi, quando sei partito?».

«Gliel’ho detto. Partendo gli ho scritto una lettera. Mi detestava perché c’era sempre qualcosa che non andava, e non aveva fiducia nel mio futuro. Un’altra bravata in addestramento, Frog Eyes, è caricare per duecento metri sotto uno sbarramento di fuoco di mitraglia che ti arriva al petto. Abbiamo anche disciplina. Mi hai visto legato stanotte». «Sì, e ti ho sentito anche», dissi, «Era perché non avevo salutato un ufficiale. E a dir la verità non l’avevo proprio visto. Ah, Frog Eyes, siamo una bella squadra. Sai cosa ti becchi se arrivi in ritardo da una licenza? La morte. E niente plotone di esecuzione. Ti spara in testa con la pistola automatica il tuo comandante di plotone. Lo sai? Sono stato sul Carso. Il Carso era un inferno. Non quello alla Sherman, con le marce forzate. Un inferno del 1915. Tutto rocce, pallottole di mitraglia, granate, e ancora rocce, e niente acqua, e pareti ripide, con mortai da trincea, e trincee fredde ogni quindici metri. E che freddo. Parecchio sotto zero. Sono anche salito sul Monte San Gabriele. E c’era la vecchiaccia con la falce e il teschio e la camicia da notte che spazzava la montagna, allo stesso modo che a San Francisco innaffiano le strade con l’idrante. Ma siamo saliti. E il Monte Corno!». «L’ho visto», dissi. «Tu hai visto la Rocca di Gibilterra, Frog Eyes. Potremmo prendere anche quella, come abbiamo preso il Monte Corno. E l’abbiamo preso. Non so come. Mi ricordo, ho visto un austriaco strappar la sicura a una di quelle bombe schiacciapatate e la tirò addosso a cinque di noi. Ci fu lo scoppio e sono rimasto solo. lo ero sotto, più in basso, e lui rideva e strappò la sicura a un’altra e me la tirò. Mi cadde davanti, oscillò un secondo che a me parve un’ora, poi rimbalzò fuori del bordo e scoppiò per aria più in basso. Io a quel tale ho sparato con la pistola. Mi cadde addosso giù dalla roccia e per poco non mi fece precipitare dal bordo. Un salto di trecento metri. Sono rimasto sotto di lui un poco. Era caldo e appiccicoso. Finché ho inarcato la schiena e l’ho fatto scivolar giù. Ho sentito il tonfo, come quando butti via una zucca2 Il Corno, sì, Frog Eyes, è stato uno spettacolo!». «Eri al Piave in giugno?», chiesi. «Se c’ero? Vennero in duecentomila dal bel mezzo dei campi, c’era fumo e gas, e il bombardamento era spaventoso. Tutto scuro, e la fanteria che in qualche punto aveva ceduto. Gli ufficiali tutti morti. I nostri venivano giù per la strada come una marea e con gli occhi fuori dalle orbite. C’eri anche tu?». «Fossalta, Pralongo, Monastier, Case Levi, Fornaci…».

«Ah, c’eri» ridacchiò Picks. «Noi spuntammo per primi da dietro la curva di Case Levi. La fanteria stava ripiegando in massa. Quelli di dietro si ritiravano combattendo. Chi era ferito leggero aiutava gli altri feriti. Noi arrivammo lì con i camion. In fondo alla strada si sentiva il crepitare delle loro mitraglie. Noi li attaccammo e h respingemmo attraverso i campi. Si fecero ancora sotto e noi scattammo al contrattacco. Contrattacco, contrattacco! Se l’hai visto, sai cosa significa. Il coltello, sempre il coltello. Con quello non potevano resisterci. Io, sul mio, segnavo il numero con una tacchetta sul manico, Bene, basta con lo spettacolo di giugno. Sai anche tu com’è finito. Senti, Frog Eyes, se vuoi vedere uno spettacolo, se proprio ci tieni a vedere uno spettacolo… domani prendiamo l’Asolone. Come il solito nessuno dovrebbe sapere niente. Come al solito ci han dato a tutti la droga. Partiamo con i camion per la strada del Grappa domani mattina alle due e trenta. L’attacco è alle cinque. Se lo vuoi vedere e rischiare. Dai, rischia! Vieni anche tu, Frog Eyes. Non vorrai mica vivere per sempre, no?».

Stetti un po’ indeciso. Certo che non volevo vivere per sempre, ma ci tenevo a vivere un po’ più a lungo. Ma avevo anche visto Pickles in azione sul ring, e vederlo ora qui sul serio in azione era una tentazione troppo grossa.

«Nel caso che venga… a che ora si parte?». «Va bene alle due e trenta, quando arrivano i camion dall’autoparco. Tu puoi fermarti al Posto di Osservazione e ti puoi godere lo spettacolo da li. Forse salterai in aria anche tu. Sei grasso, e dopo tutto non ti resta molto da vivere. Sei vecchio, Frog Eyes! Scommetto che hai quarantacinque anni».

«Quarantadue per l’esattezza. E lo sarai anche tu, in meno di vent’anni, italiano della malora! Ci sarò, alle due e trenta». «Frog, io non invecchio mai finché c’è la guerra», mi ribatté Pickles, voltandosi mentre scendeva le scale.

Guardai l’orologio, erano le undici e trenta. Alle due e trenta non mancava poi molto. Sicuro, i rischi li affrontavamo tutti i giorni, quando salivamo con le autoambulanze ai posti di medicazione. Ma quello era un rischio calcolato, ed eravamo protetti dal mito-leggenda della propaganda secondo cui niente può mai colpire un’autoambulanza; se poi qualcuna veniva colpita, c’era sempre chi ci teneva a far notare l’eccezione che confermava la regola. Magari non avessi rivisto Pickles. Ma il pensiero dello spettacolo che di li a sei ore mi sarei potuto gustare finì per prevalere. Alle due e trenta m’incamminai giù per il viale verso la lunga fila di camion parcheggiati al buio, vicino all’incrocio della strada. Il battaglione stava salendo e prendendo posto. Trovai Pickles e riuscii a sedermi vicino. Il primo camion ingranò la marcia e la lunga colonna sfilò per la città dirigendosi verso la strada camuffata del Monte Grappa.

Pickles, con una borsa di micidiali piccole «signorine» a tracolla (le «signorine» sono grandi come scatolette di minestra e sono avvolte da un nastro),3 canterellava: «Com’è bello – alzarsi presto – a la mattina…». L’Ardito che gli sedeva accanto stava affilando il suo coltello con una piccola cote oleata. Mi parlò in italiano. «Il Pickles dice che tu, sebbene sei un grasso americano, vuoi vedere l’attacco. Il Pickles dice che in America lui ti conosceva bene. Verrò anch’io un giorno in America, dopo la guerra. Senti, hai sentito parlare della Mano Nera?». «E’ come la Mafia e la Camorra. In qualche città sono molto forti», risposi.

«Dopo la guerra andrò a Chicago. Forse là ci incontreremo», sorrise, e provò se il coltello tagliava, strofinando il filo della lama contro la guancia.

«E’ uno dei veterani», mi disse Pickles in inglese a bassa voce, «Sarebbe per lui troppa fortuna andare a Chicago. Lo manderanno in Libia».

Faceva freddo, e mentre salivamo per la montagna il vento, come se provenisse da altri mondi, scendeva dai passi alpini e ci tagliava la faccia. Il serpente della colonna dei camion si snodava lentamente per i tornanti.

Pickles, ora con la borsa delle bombe in grembo, spiegò come doveva svolgersi l’attacco. Doveva essere un assalto di sorpresa, senza preparazione di artiglieria. Gli Arditi avrebbero attaccato in due ondate. Poi sarebbe subentrata la fanteria, per consolidare il vantaggio ottenuto.

Eravamo a circa cinque chilometri dal posto in cui dovevamo saltar giù quando incominciò uno spaventoso bombardamento, seguito subito dopo dalla nostra artiglieria che tambureggiava da tutte le parti attorno a noi. Si vedevano bombe cadere sulla strada davanti. Un camion fu centrato in pieno. L’orrore di un camion pieno di uomini così centrato non è descritto neppure da Dante nel suo Inferno. Piombò giù un’altra bomba, con un lungo fruscio nell’aria, e scoppiò a lato della colonna e ci fece cadere addosso una pioggia di schegge di roccia.

«Questo non era in programma! Tu sei un altro Giona, Frog Eyes!», mi gridò Pickles al di sopra del rombo dei cannoni. In lontananza, dalla colonna al buio, qualcuno incominciò a cantare con una voce di tenore chiara e potente. A lui si unirono tutti gli uomini dei camion:

«Il generale Cadorna

Ha scritta al’ Regina.

Il generale Cadorna

Ha scritta al’ Regina.

Si vuol’ vider’ Trieste,

Demanda Cartilina

Bom, Bom, Bom,

Rumor di Canoni! … ».

Tutti del battaglione urlavano quella canzone dal ritmo dinamico, con un terrificante crescendo di volume sui «Bom! Bom! Bom!». Pickles mi gridò nell’orecchio: «Ti becchi tre mesi di galera se canti questa canzone in qualche altra parte d’Italia. Ma qui lascian correre. Hai capito le parole? Il generale Cadorna scrive alla Regina. Se vuoi vedere Trieste fatti dare una cartolina illustrata. E poi rumori di cannonate».

Un’altra bomba venne a scoppiare sulla colonna che s’era fermata. Un urlo acutissimo superò il volume della canzone, ma il battaglione passò alla seconda strofa:

«Noi siamo gli Arditi

Et vogliamo la riscossa,

Noi siamo gli Arditi

Et vogliamo la riscossa!

Vogliamo le Monte Corno

Et tre bicchieri di birra

Bombi a mano

Et tre culpi de punialo! … ».

«Hai capito?», gridò Pickles al di sopra del fragore del coro. «Noi siamo gli Arditi. Vogliamo andare alla riscossa. Vogliamo il Monte Corno e tre bicchieri di birra. Bombe a mano e tre colpi con il pugnale… Ehi, Frog! Guarda chi arriva!». In fondo alla strada, alla luce degli scoppi delle bombe, si vedeva una calca di feriti sanguinanti. Stavano aprendosi un passaggio barcollando contro gli schermi che riparavano e camuffavano la strada. Avevano la paura della morte negli occhi. Quello sguardo di truppe terrorizzate che è la cosa più orribile che puoi vede re in guerra. Avevano gli occhi come di pecore al macello e a ogni scoppio di bomba si buttavano a terra venivano calpestati dagli altri che premevano violenti alle spalle.

«Di che brigata siete?», gridò un Ardito alla marea. Un ufficiale li in vestì con la luce di una torcia elettrica. Al bagliore guardarono in su con quei terribili occhi spauriti e pro seguirono strappandosi di dosso zaini e moschetti.

«Ehi, Frog! Direi che hanno il morale a terra!», mi urlò Pickles all’orecchio. «Ho già visto questo un’altra volta».

Si sporse dal camion, ne acciuffò uno e gli diede uno scossone afferrandolo per la gola. «Figlio d’un cane bastardo. Figlio di tuo zio», ringhiò, sbattendogli la testa contro I sponda del camion. «Perché scappate?». Il soldato lo guardò muto, poi disse asciutto:«Gli austriaci. Hanno sfondato in montagna. Han rotto le linee sull’Asolone e stanno scendendo sulla strada. Ci ammazzeranno tutti».

«Dovresti essere ammazzato tu», disse Pickles in inglese e lo scaraventò con un ceffone nella fiumana.

«Questo accorcia il percorso!», gridò agli uomini del camion. «Arditi, oggi si mangia carne!».

Gli uomini della fila del camion stavano calandosi giù con l’ordine di schierarsi sulla strada. La strada qui era intagliata nella roccia e non c’era spazio per manovrare. Una valle veniva a finire in strada duecento metri più avanti di una curva, e lì gli austriaci erano penetrati e avevano tagliato la strada principale della montagna. Stavano penetrando a cuneo sulla strada anche in un’altra parte. Tà tà tà tà!… Le mitragliatrici martellavano la curva in cui gli austriaci sciamavano giù per la valle e sulla scarpata di fianco alla strada.

«E’ molto semplice», disse il maggiore al battaglione, con voce chiara e un po’ blesa. «Dobbiamo cacciarli indietro. Su per la valle e oltre la cresta. E’ molto semplice, bisogna cacciarli indietro. Siamo gli Arditi». E la sua voce si alzò a tono di comando: «Battaglione Savoia!».

E il battaglione avanzò. Non dietro uno sbarramento, non in ordine regolare, non a passo cadenzato, ma urlando, bestemmiando, correndo, urtandosi, spingendosi per essere primi all’urto. Un battaglione contro un esercito. Quando la prima mitraglia li investì, come un manicotto d’acqua su una fila di formiche di una stradetta laterale, non si scomposero. Fu colpito il maggiore, cadde, si rialzò, fu abbattuto ancora, ma continuò a trascinarsi carponi e ad aggrapparsi con le mani su per il pendio, muovendosi a piccoli scatti come un bambino. E allora gli austriaci vennero giù dalla montagna come un’onda verde e grigia e il maggiore sparì travolto da una marea di piedi, e lui da sotto tagliava e scarnificava gambe. E allora vidi Pickles.

Puntò dritto nel più folto di essi. Con un coltello per mano. Ammassate e scioccate dal contrattacco, le truppe si erano come inceppate. Vidi Pickles dare uno strattone alla cordicella al collo e usare la pesante pistola automatica come una fionda, mentre con la sinistra giocava come un fulmine d’estate facendo guizzare il pugnale. Gli Arditi attaccavano a testa bassa, balzavano, pugnalavano, lanciavano «signorine», dovunque c’era spazio, nella massa grigia dei nemici. Pickles si apri un varco verso il maggiore caduto, gli fece spazio attorno. Fu allora che gli austriaci, compatti, incominciarono a ritirarsi su per la vallata. Gli Arditi non li distinguevi più. Si vedevano solo vortici di austriaci e potevi esser certo che là in mezzo c’era un Ardito. Ma furono bloccati, e allora dalla strada si riversò la fanteria, e in ordine sparso e alla baionetta li caricò su per la vallata. I mitraglieri di un battaglione misero su i treppiedi e sgranarono nastri dopo nastri contro gli austriaci in ritirata e incalzati dalla fanteria su per le pendici.

Dopo che i nemici erano spariti oltre la cresta, trovai Pickles seduto accanto al maggiore. Tutto intorno c’erano elmetti col chiodo, bombe a mano col manico, involucri vari e altri resti, più macabri, della battaglia.

«Sei ferito grave, Picks?», gli chiesi preoccupato, piegandomi su di lui. «Solo qualche graffio, Frog Eyes». Si guardò intorno. «Questa è la valle della morte. Andiamocene via. La loro artiglieria può aprire il fuoco da un momento all’altro. Sarebbe stato ben altro spettacolo se non ci avessero giocati e non avessero attaccato loro per primi. A finire il lavoro adesso basta la baionetta. Frog Eyes, come sarebbe stato bello l’esserci avvicinati noi a loro, fino a sentirne il puzzo del fiato. Cosa credi? Io sputo in faccia all’ufficiale prima di farlo fuori. Ah, il vecchio bravo coltello. Dai, Frog Eyes, andiamocene di qua. Dammi una mano, per piacere». Si alzò barcollando, perdendo sangue da una dozzina di ferite, e scendemmo dalla scarpata scavalcando e oltrepassando gruppi di austriaci morti, con sempre in mezzo il corpo di un Ardito.

«Quando entriamo in azione noi», Pickles mi fece notare, «ci dobbiamo anche fare il monumento. Che combattimento, eh?, Frog!».

Ai piedi della scarpata quelli del battaglione che erano rimasti vivi, una cinquantina d’uomini, giacevano esausti a terra, con il fiato grosso e come mezzo ubriachi, come giocatori di calcio in un intervallo.

«Eccoli là, Frog Eyes», disse Pickles esaltandosi. «Guardali bene, gli Arditi. Non ne sono rimasti molti. Fissali bene in faccia, Frog». E si lasciò letteralmente cadere per terra e si distese.

«E dopo questo, vogliono che io ritorni e salga su un piccolo miserabile ring, che non è neppure un ring, con un pavimento di tela incerata, e mi metta a colpire, con guanti di cuoio, un uomo più volte di quanto non riesca lui a colpire me con guanti di cuoio. E fermarmi ogni tre minuti, mentre giù nelle poltrone di prima fila un branco di pancioni rubicondi ti urlano “Ammazzalo! Ammazzalo! “. Hai una maledetta cicca? No, Frog Eyes, non può essere».

«Potresti diventare il campione del mondo, lo sai», dissi.

«Campione del mondo di cosa? A colpire uomini con stupidi guanti di cuoio, mentre giù nella prima fila tizi rubicondi e pelati e con gli occhi fuori delle orbite sbraitano per veder sangue».

Si tirò su a sedere con un po’ di difficoltà, accese la sigaretta e pulì con molta cura il pugnale con il fiocco del fez. Poi rimise la lunga lama dentro la guaina di cuoio e sorrise con una smorfia.

«Dillo a Snake. Digli pure che mi sono ritirato».

(Courtesy of the Hemingway Estate, New York, and prof. Carlos Baker, Princeton N.J.).

Fonte: “Rivista Militare” (anno 1988)

NOTE

  1. Fu memorabile l’incontro disputato a New Orleans il 7 settembre 1892, in cui Jim Corbett batté John (qui nel racconto «Young») Sullivan e divenne Campione mondiale dei pesi massimi (v. anche il film Gentleman Jim – nella versione italiana Il sentiero della gloria – di Raoul Walsh del 1943, con Errol Flynn, N.d.R.). []
  2. Episodio finito anche in Addio alle armi (1929), cap. 19. []
  3. Hemingway sbaglia, confondendo «signorine» o «ballerine» (con un manico di legno e una specie di gonnellino) con petardi Thevenot che avevano un nastro che nel lancio si disfaceva. []